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08 Gennaio 2024

OMELIA DI S.E. MONS. GIUSEPPE MENGOLI PER L’ORDINAZIONE PRESBITERALE DEI DIACONI MATTEO AGOSTINO PENSATO E VINCENZO STILLA

Nella solennità dell’Epifania del Signore, non può passare inosservata la reazione dei Magi che, giunti al “luogo dove si trovava il bambino”, a Betlemme di Giudea, “provarono una gioia grandissima”; né vogliamo escludere a priori dalla nostra portata la stessa gioia provata da loro, accontentandoci di rimanere in reazioni più composte. Se è vero, infatti, che la presenza del Signore continua a farsi viva anche oggi, dovremmo chiedere anche per noi il dono della letizia, disarmando ogni difesa interiore e liberando finalmente il cuore.

Siamo qui in preghiera, in fondo, perché non ci accontentiamo di rimanere intrappolati nelle deludenti “passioni tristi” e perché siamo sicuri che anche a noi è concessa la stessa eccezionale possibilità di quei tre pellegrini. Il vangelo, infatti, non attende ammirazione, ma la risposta della nostra vita, nella quale poter diventare carne; il mistero cristiano non ci relega mai al rango di spettatori, ma ci sollecita continuamente a diventare protagonisti.

È senza dubbio una prospettiva impegnativa ammettere che per il cristiano la gioia non è mai sufficiente e che, quindi, può avere anche i tratti della “perfezione”, come ci ricordava Francesco d’Assisi, ma è avvincente scoprire che questa possibilità è contenuta nel DNA di tutti coloro che, dopo lunghi percorsi, scoprono finalmente di essere pensati ed amati da sempre.  

Stasera, in particolare, siamo felici di accogliere e condividere la letizia del vostro cuore, carissimi Matteo e Vincenzo. La nostra Diocesi oggi è in festa per la vostra ordinazione presbiterale che arricchirà di grazia per sempre la vostra esistenza e che sarà – ne siamo certi – un grande dono non solo per la nostra Chiesa locale, ma anche per la Chiesa intera.

Tuttavia, più che collocare la gioia alla fine, quasi come prometeico traguardo di un percorso che rischia di non arrivare mai all’ultima tappa, vorrei proporvi, in questo momento così solenne per noi, la mossa apparentemente azzardata di partire da essa. Solo se sapremo chiedere al cuore questo cambio di prospettiva, ci scopriremo veri uomini di fede. La gioia, infatti, non può essere frutto di calcolo, né si annovera tra i bilanci di fine stagione, ma è l’incipit più sicuro di chi affida la sua esistenza al Signore, come ha fatto Maria, quando intonò il canto del Magnificat, fidandosi, già nella prima ora, di Colui che l’aveva scelta. Essere felici di aver incontrato il Signore, poi, è ciò che possiamo condividere tutti. È ciò che ci può unire in un’unica missione, nonostante le nostre diversità. È ciò che possiamo o dovremmo fare subito, sapendo di rendere la testimonianza più credibile e, forse, più attesa.

A volte quella della gioia – lo sappiamo – è una dimensione tanto impegnativa quanto imbarazzante, tanto che preferiamo liberarcene, relegandola per direttissima nel vocabolario infantile; altre volte, poi, capita di sfrondarla per ridimensionarla sui seriosi parametri adulti. Rimane il fatto però che per prenderla ‘seriamente’, è necessario che essa nasca solo dalla certezza di essere amati. La mancanza di gioia, i grigi chiaro-scuri quotidiani lasciano trapelare, anche se non lo vogliamo, il fatto che non abbiamo ancora scoperto la misura dell’Amore con cui siamo raggiunti ogni giorno. La nostra fede ci ricorda che siamo amati di un amore infinito e questo dovrebbe bastarci per rendere la gioia resistente all’urto del quotidiano e non lasciarla soffocare nelle sabbie mobili del realismo.

Il vostro ministero, Matteo e Vincenzo, sia gioioso! Non cedete mai alla tristezza, anche quando la vita o lo stesso ministero vi chiederanno di attraversare momenti di prova.

Ma per fugare i possibili sospetti del ricorso a quella che potremmo ritenere un’ingenua quanto improponibile condizione del cuore, vorrei ripercorrere, insieme con voi, almeno le ultime tappe dei Magi. Esse, anche stasera, si presentano nella loro incredibile forza e hanno un’incommensurabile valenza per la vita del cristiano e, non di meno, per la missione del presbitero, che, da stasera, voi, Matteo e Vincenzo, sarete chiamati a vivere.

Essi, ci dice il testo dell’evangelista, giunti sul luogo, entrarono senz’indugio “nella casa”. Il clima familiare di quella casa si presenta a quegli uomini, giunti dall’estremo oriente, con due preziose caratteristiche: essa è una casa aperta a chiunque voglia avvicinarsi alla luce di quel mistero e, nello stesso tempo, introduce in un’inaspettata intimità. In quella casa, una volta entrati, essi diventano subito familiari, grazie al gesto di condivisione che fa Maria, quando depone suo figlio nella mangiatoia, luogo profetico e segno anticipatore di ciò che accadrà ogni giorno su tutti gli altari del mondo. I Magi, perciò, sanno di poter varcare quella soglia per stare con il Signore e per poter entrare in intimità con Lui. Quali e quanti spaccati ci hanno offerto a riguardo i mistici di ieri e di oggi! Ci ricordano, per esempio, che l’intimità con il Signore non si improvvisa, che richiede tempi lunghi e che proprio l’intimità con Lui è anche il clima più favorevole per far maturare la propria interiorità, che ovviamente non può mai essere raggiunta con una sia pur laboriosa operazione introspettiva da tavolino.  

Il segreto di una solida vita cristiana è racchiuso in una relazione personale con Gesù, la sola che è in grado di aprire spaccati interiori insospettati, terreno fecondo per conversioni radicali. Non fa una vera esperienza di Dio, infatti, chi non entra in quella “casa” e non vi sosta ogni giorno, mettendo a nudo il suo essere. L’incontro dei Magi richiama quindi la relazione con il Signore, che potrà diventare centrale solo quando c’è un forte desiderio di Lui, proprio quello che non è mancato a loro. Non ci si può accostare mai a quel mistero d’amore per abitudine, come se ci trovassimo a un fatto normale. Pensate che S. Agostino nel commento al salmo 37 legava in modo geniale la stessa preghiera al desiderio. Diceva: “il tuo desiderio è la tua preghiera: se continuo è il tuo desiderio, continua pure è la tua preghiera”. Sì! Per entrare in quella casa, che si fonda sulla Parola e sui sacramenti, occorre sapere di essere attesi e accolti e, nello stesso tempo, desiderarlo con tutto noi stessi. Una volta entrati, poi, è importante rimanervi, senza fretta, sapendo di aver trovato lì la verità della nostra vita.

Durante il rito della mia ordinazione episcopale, lo scorso 16 maggio, voi, Matteo e Vincenzo, avete avuto un ruolo importante, quando avete aperto la Sacra Scrittura sulla mia testa, formando anche per me, chiamato a diventare successore degli apostoli, una casa in cui dimorare: la Parola viva, Cristo stesso. Grazie per quel momento vissuto insieme. Vi chiedo ora di continuare a costruire quella casa che è Cristo, per far sì che ogni fedele possa giungere all’incontro con Lui. Non è forse questo il compito del presbitero? Egli è come l’amico dello sposo che, fermandosi sulla soglia, introduce chiunque lo desideri all’incontro con il Signore.

Entrati in quella casa, poi, i Magi “videro il bambino con Maria sua madre”: ai loro occhi appaiono subito il mistero della presenza del Verbo fatto carne e, nello stesso tempo, l’icona della maternità. Vengono raggiunti dalla luce di quel bambino e, insieme a Lui, incontrano quella madre, che, pur nella semplicità della sua storia, era stata avvolta da un progetto che la stava attraversando. Quel bambino, ora, è tra le sue braccia, ha bisogno di Lei e del suo amore. In Lei a Betlemme essi vedono la madre e la sposa, la madre e la discepola, la madre e la missionaria.

Che paradosso! Quella maternità, così sublime e unica e, nello stesso tempo, così simile a ogni maternità, in quel preciso momento, risulta essere l’apice della storia di tutti i tempi. È proprio vero! L’Onnipotente ha scelto di percorre la via della piccolezza e, da allora, ogni frammento, come il bocciolo dal quale fiorisce la vita, è in grado di intrecciare la gioia del sì incondizionato di Dio e la gioia di una risposta che il Signore, dopo aver bussato alla nostra porta, attende da noi. La via privilegiata di Dio, infatti, è sempre quella della storia, della nostra storia, della mia, della tua, ma il suo ingresso dipende da noi: se gli apriamo anche un solo spiraglio, ci accorgiamo che da quella feritoia passerà un cono di luce nuova e generativa, capace di riempire di senso i nostri giorni, le nostre scelte, l’intera esistenza. Siamo davvero “un crepaccio assetato di infinito”, come amava dire Kierkegaard, ma possiamo anche aggiungere che quell’Infinito non vede l’ora di riversarsi totalmente in noi.

Maria, allora, è lì… ad indicarci la via: quella che dal Padre giunge a noi e quella che da noi giunge al Padre: Cristo cioè. Ecco perché lo sguardo su Gesù non ci impedisce di contemplare Maria.

È fuori dubbio che quando facciamo entrare il Signore nella nostra storia, Egli spagini, ma non per questo ci priva di qualcosa. La sua presenza completa, dà pienezza. Perciò, di Lui non occorre mai aver paura: nessun timore ad accoglierlo, nessuna remora nel consegnargli il cuore e la vita, nessun rimando nel compiere la sua volontà. Sarà questa la vostra direzione di marcia, Matteo e Vincenzo; sarà questo il vostro migliore investimento, quello che capitalizzerà la vostra libertà e che vi porterà ad accorgervi che nella vostra piccola ma fedele offerta quotidiana sboccerà, anche nelle situazioni più impervie, quel centuplo che Egli ha promesso.

In una lettura frettolosa del racconto evangelico, poi, rischiamo di arrivare subito all’atto di adorazione dei Magi, trascurando il fatto che, come è scritto nel testo sacro, essi, prima, “si prostrarono”. Letteralmente è “caddero a terra”. Sì! Questo, in genere, è un verbo che sfugge. Eppure essi sentirono proprio questo bisogno, al termine del lungo cammino, percorso soprattutto con la tenacia del cuore. Davanti al Signore, con grande umiltà, fanno “cadere a terra” il loro “io” e quei presunti meriti che ormai avrebbero potuto vantare, visto le fatiche del lungo viaggio. Avrebbero potuto esibire il loro curriculum, accade invece che davanti all’epifania di quel bambino che avevano tenacemente cercato, nonostante i venti contrari, aprono gli occhi sulla loro piccolezza. Faranno la stessa cosa, in avvenire, il Battista, Saulo di Tarso, Francesco d’Assisi. I veri santi ci insegnano, infatti, che non è ammissibile competere con Dio e vantare davanti a Lui postazioni privilegiate.

Quella “prostrazione”, quella “caduta a terra” è per loro il più importante presupposto per adorare. Lo farete anche voi, Matteo e Vincenzo, tra pochi istanti, nel cuore dell’ordinazione, perché la grazia di stato che riceverete non si colloca mai sul piano dei meriti personali, ma sempre e solo su quello di un’eccedenza di amore e di misericordia divine. La sovrabbondanza di amore da cui sarete raggiunti e che accoglierete con profonda umiltà e sincera gratitudine vi troverà sempre indegni e inadeguati, ma proprio di essa avrete un quotidiano assoluto bisogno per poter essere segno e mediazione della salvezza in atto.

Solo se il cuore scoprirà questo non sarà più intrappolato da presunzioni e sarà finalmente libero, perché avrà smesso di ripiegarsi su se stesso e potrà finalmente adorare. L’adorante è chi sa di essere “come un bambino in braccio a sua madre”, l’adorante non vive mai da solo ed è sostenuto da una presenza che lo sostiene giorno e notte.

Certo, quella “caduta a terra” potrebbe non essere indolore, richiede un atto di coraggio, un salto nella fede, ma nel momento in cui si vincono le prudenziali paure che ci impediscono di alleggerire il cuore da inutili zavorre, si possono sperimentare sul proprio viso le prime luci di quella trasfigurazione che il salmo 33 promette quando ci dice: “Guardate a Lui e sarete raggianti”. Adorare (Ad-oris in latino): una mano sulla bocca in segno di meraviglia cioè… Cari Matteo e Vincenzo, ci sia nel vostro cuore sempre e solo la meraviglia di essere stati raggiunti dalla luce e mai la presunzione di averla raggiunta voi, per primi!

I Magi “si prostrarono e lo adorarono”: è un unico movimento, in due tempi, inseparabili l’uno dall’altro. Anzi tre, perché la vera adorazione non si esaurisce mai in un chiuso intimismo spirituale, ma trova la sua completezza in un doppio atto d’amore: l’offerta di se stessi espressa attraverso l’oro, l’incenso e la mirra, che essi portano con sé, e la scelta di tornare per un’“altra strada”.

Il loro primo atto di amore ci rimanda a un’importante verità, a quella, cioè, che non esiste vera adorazione senza dono. Non siamo infatti come davanti a una vetrina, davanti a un prodotto esposto di cui non possiamo non ammirare il valore, precluso però alle nostre povere possibilità di acquisto, né siamo davanti a un regalo che soddisfa solo il nostro egoismo sia pur arginato da un semplice anche se sincero “grazie”. Il dono della presenza del Signore e l’atto di adorazione verso di Lui ci chiedono di diventare noi stessi dono: il suo amore, quando è accolto, ci abilita ad amare a nostra volta. Quell’“eccomi” che abbiamo già ascoltato pronunciare ad alta voce da voi, Matteo e Vincenzo, sia il vostro atto di consegna quotidiano, a prescindere dalle situazioni in cui vi troverete. E sappiamo bene, poi, che il vostro atto di affidamento non potrà essere per noi una lodevole eccezione, perché la chiesa intera è chiamata a rispondere ogni giorno e, quindi, anche stasera, con il suo “sì”. Un “sì” corale, dove la fede di ognuno può incoraggiare e sostenere quella di altri. Proprio per questo, questo momento, cari fratelli presbiteri è per noi e per me un’ora di grande responsabilità perché il nostro “eccomi”, il nostro modo di vivere la fedeltà al nostro ministero sosterrà quello di Matteo e Vincenzo, che da oggi muoveranno i primi passi. Il loro “sì” è un dono per noi, il nostro “sì” è un dono e una responsabilità per loro.

Il chiaro segnale, infine, che quel movimento di adorazione è diventato per i Magi una condizione esistenziale permanente è la scelta, anch’essa ispirata dal cielo, di ritornare “per un’altra strada”. Qual è quest’“altra strada”? Non potrà più essere quella del potere, del tranello, della rivendicazione e della violenza, congeniale ad Erode e al suo seguito, ma sarà quella della gratuità, del servizio, dell’annuncio, descritta nella breve ed intensa espressione paolina che abbiamo pocanzi ascoltato nella sua lettera agli Efesini: “Fratelli, penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro favore” (Ef 3,2). Ecco quello che da stasera in poi potrete dire con la vostra vita, Matteo e Vincenzo. Mi ha sorpreso leggere nel testo greco che il termine corrispettivo a “ministero” sia “oiconomìa”. Il vostro sarà un ministero presbiterale, perciò, che dovrà sempre partire dalla consapevolezza di avere ricevuto un tesoro, molto spesso “nascosto” agli occhi degli altri; un tesoro che siete chiamati ad amministrare fedelmente in tante maniere. Ma attenzione a non scindere mai l’amministrazione del dono di grazia, ricevuto a favore degli altri, dal dono della vostra stessa vita. Ne andrebbe di mezzo irrevocabilmente – lo sapete – la vostra credibilità e la verità del vostro “ministero”.

Il vostro ministero, perciò, l’“economia” della vostra vita di preti non abbia paura di apparire in perdita agli occhi degli altri, poiché è l’unico modo che abbiamo per dire che in Gesù Cristo abbiamo tutto; non temete di vivere il ministero, come un’“economia” alternativa, perché è sempre più felice chi dona rispetto a chi riceve; iniziate con entusiasmo l’esercizio del ministero e non spegnete mai questo entusiasmo per strada perché molti, davvero molti attendono di essere arricchiti dal dono di grazia che passerà dalle vostre mani e prima ancora dal vostro cuore e vi auguro di sentire l’urgenza del ministero che il Signore attraverso la Chiesa vi affida perché i poveri sono sempre lì ad attendervi… e, in loro, Cristo stesso. Amen.

San Severo, 5 gennaio 2024

+ don Giuseppe