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28 Settembre 2022

OMELIA DI S.E. MONS. GIOVANNI CHECCHINATO IN OCCASIONE DELLA SOLENNITÀ DI SAN SEVERO VESCOVO 2022

Nel brano di Vangelo appena ascoltato, l’evangelista Luca ci ragguaglia intorno ad un insegnamento di Gesù riportato anche dagli altri evangelisti; l’operazione interessante che compie, però, rispetto agli altri è la scelta del contesto in cui porre l’insegnamento del Maestro. Con una genialità da par suo, Luca registra questo episodio durante l’ultima cena, dopo l’istituzione dell’eucaristia e dopo le confidenze drammatiche e piene di angoscia che Gesù ha rivelato ai suoi amici. Il Maestro ha affermato ancora una volta che “la misura dell’amore è amare senza misura” e invece di accogliere l’insegnamento e la testimonianza di Gesù gli apostoli stanno questionando fra di loro facendo la hit parade di chi fra loro fosse il più importante. Misura dell’amore: amare senza misura, una frase che potrebbe essere identificata solo come uno slogan alla moda, che è stata però testimoniata da Gesù con una donazione di se stesso a noi, fino alla fine. E come lui, tanti altri credenti, donne e uomini che – sull’esempio di Gesù – hanno saputo regalare se stessi per il bene di tutti, superando la logica dell’“io obeso” che si preoccupa solo del proprio tornaconto. Fra costoro certamente il nostro santo patrono, san Severo, che ha dato testimonianza di un amore senza misura per il bene del suo popolo, per il bene della chiesa e del mondo. Il brano evangelico e la testimonianza di San Severo ci aiutano a farci qualche domanda su di noi, la nostra vita come credenti, ma anche sulle logiche che accompagnano la nostra vita come compagni di strada di una esperienza comune che chiamiamo storia, luogo che ospita il Regno di Dio, e in ultima analisi Dio stesso.

La prima logica che ci insegna il Vangelo è la consapevolezza del bene comune, che proviene dalla percezione di essere – come dice sempre Papa Francesco – tutti sulla stessa barca, inscindibilmente legati gli uni agli altri, logica che fatichiamo a cogliere. Siamo a poche ore dal voto per la scelta del futuro parlamento e del futuro governo, e la tentazione che potrebbe arrivarci è quella di pensare che questo riguardi solo il futuro degli eletti, ma in realtà riguarda il futuro di tutti, perché è nelle scelte che ciascuno compie, quotidianamente, che si realizzano e si costruiscono le società e si concretizzano attraverso processi democratici nella responsabilità di chi è al servizio del popolo e di un territorio. Parlo volutamente di servizio e non di incarico o di carica, perché in tutti i contesti, ecclesiali, politici, imprenditoriali, civili, chi sta più in alto tanto più deve spingere, per il suo ruolo, gli occhi dentro la realtà oggettiva che si trova a livello della gente comune, quella che ancora oggi siamo soliti definire “più in basso”, quella che abita la vita quotidiana con le sue difficoltà, le sue fatiche, ma anche le sue gioie e la costruzione di piccoli segmenti di vita che alimentano il comune bene e la società. Il completamento degli studi, il primo lavoro, la nascita di una famiglia, l’impegno sociale, la responsabilità in tutti i livelli, anche in quello politico, sono traguardi che custodiscono il seme della comunità che cresce e si alimenta;  quando ciascuno fa il proprio dovere per realizzare un bene per sé questo diventa anche bene per gli altri: studiare tanto e bene per diventare un bravo medico è il raggiungimento non solo di un traguardo personale ma è la realizzazione di un bene collettivo, perché tanti potranno curarsi grazie a quel medico; diventare insegnanti o docenti preparati, dopo aver faticato e fatto concorsi e passato lunghe selezioni è sicuramente una soddisfazione personale, ma è anche una ricchezza per una comunità di piccoli o giovani studenti che cresceranno con i loro insegnamenti; diventare bravi responsabili di governo ad ogni livello, dopo percorsi politici più o meno lunghi, può sicuramente essere la realizzazione di una tanto attesa opportunità, ma è soprattutto il servizio bello e importante reso alla comunità. Su questa dimensione sociale del nostro impegno, di qualsiasi impegno, ci potremmo fermare per fotografare il momento storico che viviamo e provare a leggere ad esempio il dato della affluenza alle urne di ieri nella nostra provincia di Foggia attestatosi al 38,76% degli aventi diritto. Il dato di chi non vota più perché scoraggiato o perché confuso o per altri motivi, non può essere solo un elemento statistico, ma è un campanello “sociale” urgente da prendere in considerazione, così come la partecipazione ai corpi intermedi, le associazioni e i partiti in primis, che vedono sempre meno giovani impegnati. C’è sempre più uno scollamento tra la dimensione della responsabilità, in qualsiasi contesto, e quella della vita comune di chi non avverte più tale dimensione nelle proprie scelte, ma anzi tende a deresponsabilizzarsi, delegando a chi ha il compito di prendere le decisioni. E questo amplifica sempre di più l’esperienza di solitudine di coloro che hanno responsabilità di fronte alle scelte. Non perdere mai la speranza, attivando sempre un ascolto responsabile e privo di giudizio apriori permette di offrire speranza, anche nelle situazioni più critiche dal punto di vista personale o comunitario. Proprio Gesù ci testimonia questa attitudine nel brano che abbiamo appena ascoltato.

La seconda dimensione che colgo nelle parole di Gesù è la sottolineatura del bene presente che permette di superare la tentazione di lamentarsi della mancanza del bene possibile secondo la logica del “tutto/subito/come piace a me”. Nonostante la contingenza critica Gesù sa scorgere e fa scorgere nel servizio reciproco una bellezza senza fine. Gesù dice ai suoi: “I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno potere su di esse sono chiamati benefattori. Voi però non fate così; ma chi tra voi è più grande diventi come il più giovane, e chi governa come colui che serve” (Lc 22,25). Ci esorta, cioè, a sviluppare il gusto di rimanere vicini alla vita della gente, “…a rimanere mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo…, a perdersi nella folla…per dividere col prossimo l’onta, la fame, le percosse, le brevi gioie…” (C. Lubich) Se non impareremo infatti a parlare il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli dei dominatori…incapaci di porre un limite ai propri interessi immediati… (cfr Laudato si’, 10), cadendo in “una meschinità quotidiana” che non permette di camminare con i piedi per terra. Quando questo si avvera la gente comune vive come passeggeri del vagone di coda, relegata nell’indifferenza e nella rassegnazione, mentre i governanti, sempre più soli ed isolati, restano separati dalla realtà, riducendo la politica a mera retorica. La sussidiarietà chiede a ciascuno un impegno preciso dentro la comunità, dove ciascuno ha un proprio ruolo e tutte le parti riconoscono questa ricchezza e anzi la condividono, la moltiplicano. Oggi si parla sempre più, sulla base di questo principio, di Amministrazione condivisa, cioè dove cittadini e corpi intermedi si siedono insieme alle istituzioni e insieme pensano e realizzano azioni di bene comune ciascuno facendo la propria parte. Il pericolo anche qui è di pensare a queste opportunità con gli occhi della burocrazia e dell’interesse e non con gli occhi della fiducia e della vicendevole stima che porta a costruire il bene, che è comune, se fatto insieme ed è per tutti. Sono sotto gli occhi di tutti alcuni temi cruciali: la dispersione scolastica, la prevenzione dei fenomeni di criminalità che può nascere in contesti sociali a rischio di devianza e caratterizzati da diverse forme di precarietà, l’inclusione di tutte le persone che vivono situazioni di svantaggio e che limitano la loro piena espressione dentro le comunità, come i diversamente abili, i giovani neet, o i tanti immigrati che popolano le nostre campagne. Se la fiducia nell’umanità prende il posto dello scoraggiamento e del disfattismo ci troveremo a favorire la costruzione di processi e di percorsi che hanno, sì, bisogno di tempo ma che possono essere più efficaci se lavoriamo insieme, in armonia, valorizzando le competenze e la ricchezza che è già presente dentro le nostre comunità. Ri-allacciamo relazioni, impariamo dalla realtà, favoriamo l’armonia, diffondiamo bellezza insieme. Sarebbe bello sottoscrivere una sorta di patto culturale per il bene comune che prenda le distanze dai soliti criteri utilitaristici per il profitto individuale, per costruire quell’amicizia sociale che renda ancora più bella questa nostra terra non soltanto perché è ricca di storia, di tradizioni, di monumenti, non soltanto perché ha dato i natali a donne e uomini illustri che con la loro vita hanno dato onore e lustro a queste terra (e penso ad Andrea Pazienza, a Luigi Schingo, al Venerabile don Felice Canelli, alle vittime della mafia Luisa Fantasia e Stella Costa, a Nicola Sacco e Tommaso Leccisotti di Torremaggiore, a Matteo Salvatore e Carmine Padula di Apricena solo per citare alcuni nomi), ma anche e soprattutto perché sarà ricca di belle relazioni improntate alla fiducia, al rispetto, alla stima, all’ascolto, al vicendevole servizio, all’accoglienza, in una parola all’Amore reciproco. Additare gli alberi che crescono è più arduo che piangere sulle foreste che cadono, ma come ci chiede Papa Francesco siamo chiamati ad “…iniziare processi più che a possedere spazi” (Evangelii gaudium 223). Potrebbe essere una tentazione preoccuparsi di risolvere tutto e subito “si tratta di privilegiare – piuttosto – le azioni che generano nuovi dinamismi nella società e coinvolgono altre persone e gruppi che lo porteranno avanti, finché fruttificheranno in importanti avvenimenti storici, senza ansietà, però con convinzioni chiare e tenaci… Il tempo – continua Francesco – ordina gli spazi, li illumina e li trasforma in anelli di una catena in costante crescita, senza retromarce” (Evangelii gaudium 223).

Che San Severo, titolare e patrono della città e della Diocesi sia la nostra guida con il suo esempio e interceda per noi presso il Signore il bene che desideriamo per ognuno di noi qui presenti e per ognuna delle persone che rappresentano il nostro prossimo, affidateci dalla Misericordia divina in forza del nostro ruolo ma soprattutto a causa della nostra comune umanità. Amen.