07 Febbraio 2022
Omelia di Mons. Giovanni Checchinato in occasione della XXVI Giornata Mondiale della Vita Consacrata – 2 Febbraio 2022
Abbiamo ascoltato il brano della presentazione al Tempio di Gesù, testo che conosciamo molto bene e da cui possiamo ricevere il bene della Parola di Dio che si incarna nella nostra vita. E ognuno di noi ha ricevuto, a partire dal testo del Vangelo o del resto della Scrittura un dono specifico per la propria vita, un dono che passa per tutti da questi testi ma che arriva ad ognuno con sonorità differenti, con modulazioni ritmate dalle nostre esperienze, dalle nostre scelte, dal momento storico che sta vivendo. Invito ciascuna e ciascuno di voi a fare tesoro di quanto ha sentito risuonare “più forte” nel proprio cuore, nella propria sensibilità: quanto ci ha colpito di più è il luogo sacro dell’incontro di Dio con ognuno di noi! Proprio sulla base di questa considerazione condivido quanto ha risuonato in me questa Parola, ed è una espressione che tutti ripetiamo ogni sera, magari tra uno sbadiglio e l’altro, con la stanchezza che ci butterebbe solo sotto le coperte: il cantico di Simeone, e in maniera particolare le prime parole: NUNC DIMITTIS! Ora lascia o Signore… In realtà nel testo originale si tratta di un verbo composto e significa liberare da una obbligazione, da un impegno e qui il vecchio Simeone chiede proprio al Signore di liberarlo dalle fatiche della vita per andare nella pace. Liberami o Signore! E questa richiesta mi riporta a tanti atteggiamenti e scelte che caratterizzano le nostre giornate e in ogni caso la nostra vita. Provo a leggerne alcune con voi.
Liberami, Signore, dalle fatiche legate alla comunità in cui vivo, dalla responsabilità che mi ritrovo a gestire, liberami dalle mie paure, dai miei peccati, liberami dalle tentazioni e dalle situazioni spinose… e così via. Ognuno di noi può portare alla mente se e quando ha espresso in modo pubblico o in silenzio questa richiesta al Signore. Esprime la posizione di chi sta in una situazione di disagio, con se stesso o con gli altri, con la storia o con la struttura in cui si trova a vivere. Qual è l’obiettivo di questa richiesta? Stare meglio, avere giornate meno caratterizzate dalla tensione, dalla delusione, dalla rabbia e dalla frustrazione. In ogni caso l’obiettivo siamo noi e il nostro bisogno di “benessere”. Quasi quasi qualche volta ci illudiamo che gli altri siano i nostri problemi, e che cambiando le situazioni che viviamo potremmo raggiungere un livello di benessere maggiore. Forse non è stato proprio così nella esperienza dei primi cristiani e non è così per tanti cristiani di oggi che vivono nella fatica rappresentata dalla guerra, dalla persecuzione o dalla povertà e che ci testimoniano uno sguardo rivolto al vangelo e non a loro stessi. E certamente non era così nella mente di Gesù quando raccontava le beatitudini ai suoi discepoli, invitando a far tesoro del pianto, della persecuzione, della povertà come occasioni di vita bella, buona e felice.
Talvolta, al contrario, la preghiera esprime la paura di perdere qualcosa che abbiamo legato a noi in maniera totalizzante: il nostro ruolo, la nostra professione umana o religiosa, la nostra postazione in comunità o nella chiesa, un incarico che sentiamo di portare avanti egregiamente. E se la preghiera, nella prima ipotesi che abbiamo analizzato, si rivolge a Dio perché ci liberi da persone o situazioni che pongono ostacoli al nostro cammino, nella seconda chiediamo al Signore che non ci vengano mai a mancare la nostra credibilità, la nostra rispettabilità, che vengano sempre riconosciute le nostre competenze, che nessuno prenda il nostro posto. Se da una parte chiediamo al Signore di “lasciare che” dall’altra gli chiediamo di stare sempre nella nostra postazione, chiediamo che la storia non cambi, soprattutto se è una storia che gioca a nostro favore. In ogni caso, sia nella prima che nella seconda ipotesi l’obiettivo siamo noi, il nostro benessere, le nostre prospettive di vita.
Non è questo il senso della preghiera di Simeone. Simeone ha finalmente incontrato Gesù e ha capito che non c’è nulla di più importante di questo avvenimento nella vita. E non c’è situazione, persona, posizione, ruolo, che possano prendere il suo posto. Ora lasciami andare Signore perché ho visto la tua salvezza. L’obiettivo non è posizionato su se stesso, ma sul Signore, la sua Salvezza, il bene che solo viene da Lui. E quando abbiamo fatto questa esperienza nella nostra vita, dobbiamo onestamente riconoscere che non c’è nulla di più importante per cui valga la pena di perdere la serenità o la gioia. Probabilmente tanti malumori nella nostra esperienza ecclesiale e comunitaria provengono da una errato posizionamento del Vangelo e di noi stessi nel quadro della nostra vita: se nel proscenio ci siamo noi, sempre noi con il nostro incoercibile “io” inevitabilmente il Vangelo finisce sullo sfondo. Non così per coloro che hanno davvero sperimentato che “la tua grazia, Signore, vale più della vita”. Scriveva il grande teologo D. Bonhoeffer: “La comunità comincia ad essere ciò che dev’essere davanti a Dio solo quando incorre nella grande delusione, con tutti gli aspetti spiacevoli e negativi che vi sono connessi; solo a quel punto comincia a comprendere nella fede la promessa che le è stata data. È un vantaggio per tutti che questa ora della delusione circa gli individui e la comunità sopraggiunga quanto prima… Chi si costruisce un’immagine ideale di comunione, pretende la realizzazione di questa da Dio, dagli altri e da se stesso. Nella comunità cristiana avanza esigenze sue, istituisce una propria legge e giudica in base ad essa i fratelli e perfino Dio. Si impone con durezza, quasi un rimprovero vivente nel gruppo dei fratelli. Fa come se spettasse a lui solo creare la comunione cristiana, come se fosse il suo ideale a legare insieme gli uomini. Ciò che non va secondo il suo volere, è preso da lui come un fallimento. Quando il suo ideale fallisce, pensa che si tratti della rovina della comunità. E così diventa prima accusatore dei fratelli, poi accusatore di Dio e infine si riduce a disperato accusatore di se stesso”.
Anche alla luce di queste parole capisco che non c’è preghiera migliore di questa da recitare la sera a Compieta. La nostra giornata parte da un invitatorio con cui chiediamo al Signore di farci ascoltatori attivi della sua Parola: “Ascoltate oggi la sua voce, non indurite il cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto”. E la concludiamo con la consapevolezza che solo Dio è l’autore della nostra vita e della nostra storia e che a lui affidiamo tutto noi stessi perché porti a compimento l’opera che ha cominciato in noi. “Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta” (Mt 6,33) E questa preghiera del vecchio Simeone diventa così il proclama della nostra libertà, quella che possiamo trovare solo nella misura in cui regaliamo la nostra vita a Gesù che ci sceglie come amici e compagni di strada. Abbiamo bisogno d’altro? E se sentiamo bisogno d’altro a tal punto da sentirci inquieti non è che per caso abbiamo dimenticato la bellezza di una amicizia così preziosa come la sua? Ecco che allora la festa di oggi diventa l’occasione per dirgli, ancora una volta, il nostro amore, la nostra amicizia, e dirgli che l’unico nostro timore è essere lontani da lui.
Concludo con il testo di una vecchia canzone (ha 60 anni) che parla di un amore umano, ma che mantiene il suo valore, per alcuni versi lo esalta, se la riferiamo alla nostra scelta di consacrarci al Signore. “C’è gente che ha avuto mille cose, / Tutto il bene, tutto il male del mondo. / Io ho avuto solo te / E non ti perderò, / Non ti lascerò / Per cercare nuove avventure. / C’è gente che ama mille cose / E si perde per le strade del mondo. / Io che amo solo te, / Io mi fermerò / E ti regalerò / Quel che resta / Della mia gioventù. / Io ho avuto solo te / E non ti perderò, / Non ti lascerò / Per cercare nuove illusioni. / C’è gente che ama mille cose / E si perde per le strade del mondo. / Io che amo solo te, / Io mi fermerò / E ti regalerò / Quel che resta / Della mia gioventù”.
Che il Signore ci conceda di abbandonarci sempre al suo Amore, e ci faccia fare così esperienza di vera libertà e di pace. E il Nunc Dimittis divenga nostra professione di fede e nostro programma di vita, e la compieta di ogni giorno rinnovi così la nostra adesione a Gesù, unica salvezza del mondo.