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02 Novembre 2019

Omelia del Vescovo per la Festa del Ringraziamento 2019

Omelia festa del ringraziamento 27 ottobre 2019

La parabola che abbiamo ascoltato è originata da una considerazione su coloro che hanno “l’intima presunzione di essere giusti e disprezzano gli altri”: male ahimè molto diffuso e sorgente di altri mali anche oggi. Il disprezzo degli altri e, più genericamente di ciò che ci circonda, nasce da una distorta percezione di sé (spesso da un grande vuoto esistenziale che si cerca di riempire con questa e altre modalità) e che ha come conseguenza la lettura distorta della storia, e rende incapaci di accogliere cose e persone con adeguata sapienza. Spesso, come accade nella parabola, la percezione distorta di sé porta ad una percezione distorta anche di Dio: il fariseo pensa di trattare Dio come un suo pari, di poterlo portare dalla sua parte, fra i suoi compari, attivando con lui relazioni di dare / avere, come afferma con malcelato orgoglio: digiuno due volte a settimana, pago le decime di tutto quello che possiedo… Di tutto! Ad un ebreo era chiesto di pagare le decime sul grano, sul mosto e sull’olio, non su tutto… Ma si sa, la classe non è acqua, come si dice, e lui dichiara lo stipendio che dà a Dio per ricevere il contraccambio di una protezione speciale, quella riservata a coloro che si possono permettere il lusso di comprare Dio. Certamente il brano del Vangelo di oggi e la liturgia della parola in genere ci conducono a considerare la grande virtù della umiltà, merce rara ai nostri giorni, e poter compiere personalmente -e perché no? – in famiglia e in parrocchia una riflessione su questo tema non ci farebbe niente male. Mi sono fermato, invece, sulla parola di Gesù che rivela la causa originante della parabola perché mi sembra che abbia più di qualcosa da dire a noi che siamo qui oggi per dire grazie a Dio per i doni della terra, in questa giornata del ringraziamento 2019. Mi pare di poter dire che se non abbiamo la percezione di chi siamo di fronte agli altri, perdiamo la percezione di chi siamo nei confronti di Dio stesso, e di conseguenza di tutto quanto Dio ha creato e messo nelle nostre mani perché noi fossimo custodi e co-creatori con lui della pienezza della creazione. Chi pensa di essere al centro dell’universo, vivendo come se gli altri non esistono, o sono solamente alla sua mercé, non è interessato a fare i conti con buone relazioni interpersonali, se non per trarne profitto e giovamento. E piano piano sarà condotto a fare la stessa cosa con Dio, esattamente come il fariseo della parabola. Ma, ahimè, farà lo stesso e anche peggio con tutto quanto è a sua disposizione, credendolo sua proprietà totale e definitiva; non solo, penserà che siccome tutto è suo, non è tenuto a dire grazie a nessuno! Il nostro rapporto con le cose rivela in qualche maniera il rapporto che abbiamo con le persone (e in ultima analisi con Dio). Nel linguaggio sapienziale della Bibbia, questa perfetta armonia fra gli uomini, Dio e il cosmo ci è raccontata dal libro della Genesi col racconto della creazione e ce ne è fatto cenno nel testo del Cantico dei Cantici. Nei testi sacri si comprende che l’unico proprietario della terra è Dio e che la stessa è stata affidata agli uomini perché la coltivassero e la custodissero (Gen 2,15). Coltivare e custodire. E come siamo chiamati a coltivare e custodire la nostra comune umanità con buone relazioni fra di noi, così dobbiamo coltivare e custodire il dono della rivelazione con cui Dio s’è fatto presente nella storia. Come è possibile che questi due verbi così belli e preziosi, coltivare e custodire, si siano trasformati tante volte in sfruttare e trascurare la nostra madre terra? Probabilmente si è fatta largo anche dentro di noi la percezione di essere padroni della terra e non semplici usufruttuari, e abbiamo sottoposto la terra ad ogni sorta di violenza a causa di una miopia esistenziale di cui siamo vittime. Scrive Papa Francesco nella Laudato sii: “Dio nega ogni pretesa di proprietà assoluta: «Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti» (Lv 25,23). Questa responsabilità di fronte ad una terra che è di Dio, implica che l’essere umano, dotato di intelligenza, rispetti le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli esseri di questo mondo, perché «al suo comando sono stati creati. Li ha resi stabili nei secoli per sempre; ha fissato un decreto che non passerà» (Sal 148,5b-6). Ne consegue il fatto che la legislazione biblica si soffermi a proporre all’essere umano diverse norme, non solo in relazione agli altri esseri umani, ma anche in relazione agli altri esseri viventi: «Se vedi l’asino di tuo fratello o il suo bue caduto lungo la strada, non fingerai di non averli scorti […]. Quando, cammin facendo, troverai sopra un albero o per terra un nido d’uccelli con uccellini o uova e la madre che sta covando gli uccellini o le uova, non prenderai la madre che è con i figli» (Dt 22,4.6). In questa linea, il riposo del settimo giorno non è proposto solo per l’essere umano, ma anche «perché possano godere quiete il tuo bue e il tuo asino» (Es 23,12). Così ci rendiamo conto che la Bibbia non dà adito ad un antropocentrismo dispotico che non si interessi delle altre creature.” (Laudato sii, 67-68) E come dimenticare la delicatezza di Francesco d’Assisi nel suo rapporto con la creazione? Scrive il primo biografo di Francesco: “Quando i frati tagliano legna, proibisce loro di recidere del tutto l’albero, perché possa gettare nuovi germogli. E ordina che l’ortolano lasci incolti i confini attorno all’orto, affinché a suo tempo il verde delle erbe e lo splendore dei fiori cantino quanto è bello il Padre di tutto il creato. Vuole pure che nell’orto un’aiuola sia riservata alle erbe odorose e che producono fiori, perché richiamino a chi li osserva il ricordo della soavità eterna”. (Tommaso da Celano, Vita seconda di Francesco di Assisi, CXXIV, 165)

La nostra tradizione cristiana ci sollecita alla responsabilità nei confronti della terra, a contrastare ogni sua ingiusta e sproporzionata utilizzazione, a contrastare lo spreco delle risorse della terra, a valorizzare il lavoro attraverso il quale queste risorse vengono trasformate e rese cibo e bevanda. Come non arrossire di vergogna di fronte allo scempio perpetrato qualche giorno fa nelle cantine di San Severo e di Torremaggiore? Come non vergognarsi di fronte alla piaga del caporalato che sfrutta gli uomini e il loro lavoro per averne un beneficio monetario? Come non vergognarsi di fronte alla sperequazione dei beni della terra che continua a vedere una percentuale minima dell’umanità spadroneggiare sul 70% dei beni che Dio ha dato a tutte le sue creature sulla terra? Troviamo in un documento del Pontificio Consiglio Cor Unum un monito severo: “Ignorare il bene comune si accompagna ad una ricerca esclusiva e a volte esasperata di beni particolari quali il denaro, il potere, la reputazione, perseguiti per se stessi come un assoluto: essi si convertono così in idoli. E in tal modo che nascono le «strutture di peccato», coacervo di luoghi e di circostanze, ove le abitudini sono perverse e tali da obbligare a dar prova di eroismo qualsiasi nuovo venuto che si rifiuti di adottarle. Le strutture di peccato sono molteplici: alcune sono diffuse a livello mondiale — come per esempio i meccanismi ed i comportamenti che generano la fame — altre sono su scala molto più ridotta, ma provocano dissimmetrie tali da rendere molto più difficile la pratica del bene. Queste strutture determinano sempre costi elevati in termini umani: sono luoghi di distruzione del bene comune”.

Il Fariseo che esprime l’io obeso del narcisista sta dentro ciascuno di noi. E soprattutto si è inserito come virus endemico nel nostro mondo trasformandosi in una epidemia di pensiero ossessivamente egoista di chi pensa solo a se stesso, quasi come se la creazione fosse partita dalle sue mani. E allora poter dire con una messa “grazie” a Dio per i beni della terra, per i lavoratori della terra, per tutti coloro che a vario titolo “promuovono” la terra ci offre la possibilità di rimettere a posto –almeno oggi- le cose, offrire loro un ordine, un senso che possa e sappia esprimere i valori veri, quelli con cui possiamo costruire un futuro più bello per le generazioni che verranno e un anticipo della bellezza del Paradiso qui sulla terra.

OMELIA DI S.E. MONS. GIOVANNI CHECCHINATO IN OCCASIONE DELLA FESTA DEL RINGRAZIAMENTO 2019