× CONTATTI ORARIO MESSE MODULISTICA Verso la Venerabilità del Servo di Dio Don Felice Canelli Oltre la Porta RENDICONTO 8xmille

01 Febbraio 2025

OMELIA DI S.E. MONS. GIUSEPPE MENGOLI IN OCCASIONE DELL’ORDINAZIONE DIACONALE DI N’SERMA MICKAËL, KOUDERIN OGOUFOUNI LARIS E TOUBOUDIENI PIERRE

Quante maniere da parte di Gesù per mostrarsi nella gloria della sua divinità! Siamo qui in suo nome, infatti, ed Egli non manca all’appuntamento. Ne è prova questa solenne concelebrazione, resa ricca dalla fede di tutti voi presenti e ne è prova la vostra ordinazione diaconale, carissimi Laris, Mickaël e Pierre.

È sorprendente in che modo Dio Padre in Gesù intrecci la sua divinità con la nostra umanità, trasformando quest’ultima dall’interno e facendola diventare uno strumento del suo amore. Si coglie proprio questo nella lineare descrizione del Vangelo che abbiamo ascoltato. Vediamolo brevemente insieme.

Gesù percorreva “tutte le città e i villaggi” – è scritto – e si vede con chiarezza che egli non faceva scelte di campo. Raggiungeva tutti. E ancora oggi si mette accanto a ognuno. Quella totalità territoriale, indicata da Matteo, va al di là delle concrete possibilità umane, è teologica e lo abbiamo sperimentato pochi giorni fa nel viaggio della delegazione diocesana nella savana del Nord del Benin. Percorrere tutte le città e tutti i villaggi è una possibilità che può competere solo a Dio. E se anche le distanze sono tante e le strade non facilmente percorribili, nessuno è mai abbandonato da Lui.

Gesù, poi, “insegnava nelle sinagoghe”: sì, ormai tocca a lui rivelare la pienezza del tempo e della rivelazione e dare, di conseguenza, la giusta lettura della storia della salvezza, nella quale, come è stato ricordato durante l’ultimo ritiro dei presbiteri, “il nuovo e autentico esodo va cercato innanzitutto nella trasformazione interiore del popolo”. Il popolo ora è la sua Chiesa e l’esodo può continuare con noi e in noi, solo se riconosciamo Gesù come unico Maestro, ci lasciamo istruire docilmente da lui e gli prestiamo sincera obbedienza.

Gesù “annunciava il vangelo del Regno”, dice ancora il testo. La sequenza che l’evangelista ci propone è un crescendo che mostra come l’unico scopo del Signore fosse quello di annunciare il Vangelo, di presentarsi, cioè, con la sua prossimità come la buona notizia tanto attesa. E le belle notizie, quando non sono tarocchi, riguardano il destino di ogni uomo e non passano mai di moda. Anzi, il bisogno di esse aumenta sempre più, nella misura in cui cresce la consapevolezza che senza una bella notizia, che sia anche buona e vera, e che dia senso all’esistenza, il destino dell’uomo è un annunciato fallimento.

Gesù, oltre a percorrere “tutte le città e i villaggi”, oltre a insegnare nelle sinagoghe e ad annunciare il vangelo, “guariva ogni malattia e infermità”. Ci insegna così che non si può mai dividere la persona in sezioni. E poiché amare significa prendersi cura dell’altro in tutte le sue necessità, egli è venuto per farsene carico. Egli è venuto per riparare già nel presente l’immagine di Dio lacerata dal peccato e prefigurare, anche visibilmente, la glorificazione definitiva. Con il suo sguardo d’amore vede “le folle” affrante, disorientate, abbandonate a se stesse e stanche di vagare senza meta e senza qualcuno che le guidi, e si muove a compassione, tanto da raggiungerle anche nelle paludi interiori dove sono impantanate e farsi loro compagno di viaggio. Non si accontenta di lambire la nostra esistenza, ma vi prende dimora con il suo Spirito e dall’incarnazione fino alla croce, Egli fa sua la sofferenza e l’abbandono di ogni uomo, offrendogli una speranza a prova di fuoco. Certo! Il senso di disorientamento, la fatica del vivere e i tratti della sofferenza continuano ad esserci e sarebbe da ingenui pensare di debellarli, ma in essi ormai nessuno è più solo, poiché Egli colma ogni solitudine e lì dove c’è anche solo il battito di un cuore umano, lì c’è Lui, pronto a venirci incontro e ad accoglierci, proprio così come siamo.

L’inaspettata virata presente nella breve descrizione di Matteo, però, è che, Gesù, pur essendo Dio, non si allontana mai dalla via umana, così che per continuare nel tempo a curare l’uomo, per strappargli il velo della sofferenza e il freddo della solitudine non fa tutto da sé, vantando prerogative che di per sé apparterrebbero solo a lui, ma cerca collaboratori. Sì! Ha bisogno di “operai”, anche se non a buon mercato.

Il fatto che cerchi qualcuno che condivida la sua missione potrebbe farci addirittura piacere, alimentando anche inconsciamente la sindrome da crocerossina che spesso, in maniera larvata, affiora in tutti. Ma proprio mentre lamenta il numero esiguo degli operai, chiede inaspettatamente, che si preghi. Perché questa richiesta? Innanzitutto perché la preghiera non è il facile risvolto spiritualistico, nel quale supplicare a Dio vocazioni, collaboratori, missionari, defilandoci, nello stesso tempo, dalla diretta responsabilità sull’“abbondante messe”. E poi poiché nella preghiera chiediamo la stessa capacità di amare del Signore, siamo direttamente interpellati proprio da Lui sul modo di essere discepoli, missionari, credenti, servi. Diaconi.

Voi, carissimi Laris, Mickaël e Pierre, tra pochi istanti, sarete ordinati diaconi, ma ricordatevi che l’evento di grazia di oggi sarà sempre solo il punto di partenza e non innanzitutto perché siete già decisamente orientati al Presbiterato, ma soprattutto perché è necessaria l’intera esistenza affinché il dono che state per ricevere diventi la vostra forma vitae.

Rimanete diaconi in ogni occasione, in ogni stagione della vita, in tutte le situazioni nelle quali vi condurrà l’obbedienza! Siate servi di tutti, senza distinzione. La vostra volontà non desideri altro! E sarete sicuri di essere sempre dalla parte del Vangelo. La strada è lunga, ma non vi sembrerà affatto tale, se non cederete a stanchezze o a ripensamenti.

Siate segno di una chiesa chiamata, tutta intera, a essere serva e a camminare a piedi nudi. E sono certo che con l’entusiasmo che oggi portate nel cuore non dimenticherete che i diaconi, come diceva S. Ignazio di Antiochia nella Lettera alla Chiesa di Tralle: “non distribuiscono cibo e bevande, ma sono ministri della Chiesa di Cristo”. Non vi capiti mai, di conseguenza, di stare solo nelle misure di un soccorso immediato e materiale, pur necessario, omettendo, però, di annunciare, innanzitutto con la vita ovviamente, l’inaudito mistero dell’amore eterno di Dio che è salvezza per tutti, per tutti coloro che l’accolgono.

La preghiera, così, è proprio necessaria e dovrà essere come il respiro quotidiano che vi permetterà di non spegnere il fuoco dello Spirito. Essa vi aiuterà a vivere con gioia la logica di una grata restituzione rispetto a tutto ciò che avete ricevuto.

San Paolo, poi, ricordandoci nella seconda lettura che in agguato ci sono rischi ben precisi, afferenti a un “io” che in diverse maniere cerca sempre di imporsi, ci rimanda alla necessità di non dimenticare mai che all’origine della nostra chiamata e della risposta della nostra fede c’è l’esperienza della “misericordia che ci è stata usata” da Dio e che egli continua a usarci incessantemente.

Solo dopo aver fatto questa esperienza, qualsiasi ministero inizia a brillare di una luce non propria, diventando il luogo bello dove la miseria umana e la misericordia di Dio sono protagoniste di una vita nuova. Ma se non ci si lascia afferrare dalla presa sicura e forte di Dio, che sostiene le nostre fragilità, cura le nostre ferite, perdona le nostre colpe e incoraggia a seguirlo con fiducia, anche un ministero, un servizio nel suo nome fa cadere nell’arroganza e in una subdola logica di potere, nettamente agli antipodi rispetto a quella evangelica.

Per questo San Paolo ci invita a non perderci d’animo. Non sono importanti i risultati, infatti, che a volte abbiamo la smania di raggiungere e per i quali profondiamo encomiabili sforzi, ma è decisivo sentire in noi lo straordinario potere di guarigione della “medicina della misericordia”, così come la definì il papa San Giovanni XXIII. E sarà proprio essa a metterci in piedi ogni giorno.

Sono scongiurati, così, i rischi di chi ne risulta refrattario, a causa di una supponenza che, come afferma ancora Paolo, intrappola in “vergognose dissimulazioni” che miseramente raffazzonate, sfociano inevitabilmente in uno stile di vita vuoto.

Viene abbattuta l’astuzia che si aggrappa maldestramente a uno stato di menzogna che crea a tutti i livelli solo divisione, per dare spazio finalmente all’astuzia evangelica che, nascendo dall’incontro con Cristo, respira verità e amore e genera altro amore e altra verità.

Ci si libera finalmente dalla trappola di voler imporre se stessi, facendo diventare secondaria, rispetto ai nostri modi di pensare e di agire, la stessa Parola rivelata.

Davanti a questo contrasto di luce e buio, del quale non siamo sorpresi perché ne facciamo esperienza ogni giorno, verrebbe da scoraggiarsi. Ma il paradosso del cristiano e, quindi, anche vostro, carissimi Laris, Mickaël e Pierre, è quello di sapere di essere sì dei “giovani”, come Geremia, ma destinatari di un irrevocabile atto di fiducia da parte di Dio; il vostro paradosso è quello di sapere che siete “vasi di creta”, ma dei vasi non destinati a frantumarsi, anzi sì, ma solo per scelta, per diffondere cioè la fragranza del profumo della vita divina di cui siete intrisi. Solo così la fragilità della creta, di cui siete impastati, diventerà segno forte del dono di voi stessi.

Voi, carissimi, accanto alle due missioni di Wansokou e di Cotiakou che hanno visto fino ad oggi nostri sacerdoti e laici spendersi generosamente in esse, siete uno dei frutti maturi della pluridecennale cooperazione tra le diocesi di San Severo e di Natitingou. Due diocesi vicine, nonostante la loro distanza culturale e geografica. È proprio vero che per chi crede in Cristo e per chi ama in Lui “nessun luogo è lontano”.

Alcuni anni fa, avete accolto con docilità il desiderio dei due vescovi, padre Antoine e di don Gianni, cui va il nostro saluto, il nostro ringraziamento e la nostra preghiera, di farvi vivere il tempo del vostro discernimento vocazionale e della vostra formazione al presbiterato nel Pontificio Seminario Regionale di Molfetta. Ed ora, grati del percorso fatto, accompagnati dai formatori del Seminario e da questa comunità diocesana, siete pronti a donare per sempre al Signore il vostro cuore per amare come Lui e in Lui i fratelli e le sorelle che incontrerete sul vostro cammino.

Sentiteci vicini, continueremo a sostenervi con l’affetto e con la preghiera, perché il Signore dia compimento all’opera che ha iniziato anche in voi, offrendosi per primo. Amen

+ don Giuseppe

 

OMELIA DI S.E. MONS. GIUSEPPE MENGOLI IN OCCASIONE DELL’ORDINAZIONE DIACONALE DI N’SERMA MICKAËL, KOUDERIN OGOUFOUNI LARIS E TOUBOUDIENI PIERRE