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25 Settembre 2025

OMELIA DI S.E. MONS. GIUSEPPE MENGOLI IN OCCASIONE DELLA SOLENNITÀ DI SAN SEVERO VESCOVO 2025

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Oggi ricordiamo nella preghiera il Santo Vescovo Severo, patrono della nostra Diocesi! Anche se percepiamo che questo giorno, più che muovere le masse dei nostri 10 comuni, si sostiene sulla fede di chi è felice di avere un protettore in Paradiso e si affida umilmente a lui. Non può esserci festa, oggi, senza questa scoperta! Sarebbe banale, infatti, rimanere sul piano di un semplice “fare festa”. La posta in gioco è molto più alta, coinvolge tutto l’essere umano, il quale sa che nella vita, prima ancora del “far festa”, bisogna essere “essere in festa” e che per esserlo la più importante delle condizioni è quella di sentirsi amati, raggiunti da un amore grande. Non si simula una festa, perciò, né basta appellarsi alla categoria della tradizione perché scatti il cronometro delle 24 ore di un giorno da segnare in rosso (e questo vale per ogni ricorrenza annuale, anche per quelle universalmente riconosciute come quella del Natale, nella quale, poi, accade che ognuno festeggia a suo modo, anche a prescindere dalla nascita di Cristo, e soprattutto festeggia se è nelle condizioni intime di farlo).

Oltre a questo, va aggiunto che la Diocesi e la Città di San Severo oggi non si sono fermate, a conferma del fatto che non possiamo accontentarci di aggiungere al calendario feriale un giorno in cui in realtà sembra esser sufficiente solo un fugace ricordo religioso del comune patrono celeste. E nulla più. Non ultimo la devozione di chi ci ha preceduto e che ha voluto che, addirittura, il nome di questa Città fosse legato per sempre al ricordo del Santo vescovo napoletano, Severo, rischia di rimanere incagliata solo nella storia religiosa e civile di questa Terra.

Credo che la nostra serietà ci imponga di non barare e, soprattutto, di non dimenticare che la vera festa per noi cristiani è avere la certezza che il Signore si presenti come il “Buon Pastore”. Egli stasera chiede a noi di fissare lo sguardo su di Lui, che dona la sua vita realmente, totalmente e in anticipo e fa appello ad un nostro atto di fiducia per una risposta altrettanto generosa. Legare la nostra fiducia a Lui significa dare un nuovo anche se costoso orientamento all’esistenza, significa comprendere che esistiamo non per una mera casualità, ma che su di noi c’è un grande progetto che sarebbe un vero peccato non scoprire o compromettere dopo averlo scoperto. Il suo progetto verso di noi è un amore eterno, infinito e gratuito, la cui assenza nella storia fa fare irruzione al non senso, fa cadere nell’assurdità e tutto diventa più faticoso, al tal punto che la stessa fatica del vivere si fa insopportabile e diventa il “male di vivere”, come avrebbe detto Eugenio Montale. Siamo fatti per l’infinito e il nostro bisogno di essere amati è così grande che nessuna misura ridotta è in grado di colmare la sete di festa e la fame di vita che ha il cuore dell’uomo.

Per chi crede, invece, l’intera esistenza è attraversata dalla luce divina, quella sorta il mattino di Pasqua e mai più tramontata. Sì! Gesù è risorto con la nostra umanità, perché la storia degli uomini non si avviluppi su se stessa, ma si immerga nel suo flusso d’amore, che racchiude in sé l’origine e il fine di tutto ciò che esiste.Il nostro atto di fiducia in Lui, poi, può essere cieco, incondizionato, poiché abbiamo la certezza che il suo amore non è senza fondamento. La sua definitiva dichiarazione di amore verso ciascuno di noi, infatti, è stata scritta sulla croce, che, pur richiamando l’evento del Calvario, oggi non si esprime innanzitutto sui simulacri che vediamo esposti in bella vista nelle chiese, nelle case, nelle scuole o negli uffici, ma rimanda al modo in cui Gesù continua ancora ad amarci. È eternamente con le braccia aperte per abbracciare tutte le croci dell’umanità che soffre e per mostrarci, nel contempo, che, in Lui, dentro ad ogni croce, c’è la vittoria dell’amore e della vita. “Dio non vuole salvarsi senza di noi, ma solo con noi” perché “non risorge se non abbracciando le nostre miserie”: ha detto papa Leone XIV all’udienza di ieri. Egli ci ama dando la vita e la vita in lui non muore mai! Da lui impariamo che non dare la vita rende sterile l’esistenza, la oscura per mancanza di amore e la ferisce mortalmente con i colpi dell’indifferenza e dell’odio.

Sarebbe incomprensibile tutto ciò, tuttavia, se non inserissimo la grande portata di questa scoperta all’interno di una relazione con Lui. Il Buon Pastore, ci dice il vangelo, “conosce le sue pecore” e desidera che anche le sue pecore conoscano lui. La nostra fede per essere vera, infatti, non tollera approcci solo razionali, relazioni convenzionali, ragionevoli prese di distanze o ricordi occasionali. Se il Signore conosce noi “fin dal grembo materno”, se di noi a lui non sfugge nemmeno un pensiero, nemmeno “un capello”, se, come avrebbe detto Agostino è egli “intimio intimo meo” (è addirittura cioè “più intimo di noi a noi stessi”), allora l’unica risposta autentica da parte nostra potrà essere solo quella di decidere di conoscerlo e di entrare in relazione con lui.

Ma qual è il motivo cogente che dovrebbe sollecitarci a non perdere tempo a conoscerlo, a non procrastinare l’appuntamento decisivo con Lui? La ragione è la consolante certezza che Egli non abbandona mai le sue pecore. Quella di essere abbandonati è senza dubbio la paura più grande, è una sindrome che cela visibilmente un vuoto esistenziale e che, in tempi e modi diversi, minaccia tutti. Soprattutto oggi. Soprattutto davanti all’avvicinarsi del lupo.

Il lupo evangelico, però, non è quello della favola, ma è il Male che avanza e che abbruttisce la nostra convivenza. Il male è la guerra tra essere umani. Tra fratelli. “Di che reggimento siete, fratelli?”: ricordate l’esordio del capolavoro poetico di Giuseppe Ungaretti, composto durante la Prima Guerra Mondiale? Il poeta raccoglie la voce tremula di un soldato che mentre vede venire altri soldati di fronte a lui, non riconoscendoli, chiede che a quale reggimento appartenessero ma, nello stesso tempo, fa capire loro che lo sguardo del suo cuore li ha già riconosciuti come “fratelli”.

Stasera come cristiani siamo chiesa e vogliamo gridare a Dio e al mondo che la categoria della fraternità deve prevale su tutto il resto sempre, senza eccezioni e che, come figli, abbiamo capito che ogni prospettiva cambia quando ci sentiamo protetti da un Dio che non ci lascia mai soli.Chi, poi, accoglie il Signore nel cuore e vive in Lui, da “uomo nuovo” diventa protagonista con Lui e grazie a Lui. E non solo nel tempo ridotto della sua permanenza su questa terra, ma anche eternamente in cielo. È questo il segreto della potenza dei santi. Ed è questa la ragione più prossima della nostra preghiera di oggi e dei passati giorni della novena che ha coinvolto le parrocchie della Diocesi. I Santi sono in Dio e la gloria che questi nostri fratelli maggiori godono in paradiso è amore che raggiunge come un fiume in piena la terra. L’ampiezza del loro amore, poi, è universale. Non sarebbe possibile altrimenti. Tra i santi non esiste una lottizzazione del pianeta, essi non tracciano confini per distribuire equamente l’amore divino. Vivendo in comunione con Dio e tra di loro, la grazia che promanano raggiunge totalmente tutta la terra ed ogni uomo. Ma allora dove sta la specificità della protezione di San Severo verso la nostra Diocesi? Non nella portata del suo amore, quanto nella relazione che noi possiamo creare con lui, ricambiando quella che egli ha già con noi, anche senza che ce ne avvediamo. L’universalità dell’amore non impedisce a San Severo di avere con noi una relazione personale e comunitaria.

È su questo che dovremmo misurarci stasera. Onestamente, potremmo dire di avere una relazione personale con questo Santo? Sappiamo cosa vuol dire esattamente essere in relazione con un santo? Tutti ogni giorno facciamo esperienza di relazioni e, anche se le caratteristiche del rapporto con il Signore e con i suoi santi sono diverse da quelle che viviamo quotidianamente con chi ci sta gomito a gomito, non possiamo negare che ogni relazione non può avvenire tra estranei, dice fiducia reciproca, matura in una stabile appartenenza, culmina in amore condiviso e donato ad altri.Severo, in Cristo, è davvero vivo e presente! Possiamo rivolgerci e affidarci a lui e, soprattutto, da lui possiamo accogliere la testimonianza di come vivere il vangelo.

Con lui era finalmente già scoccata l’ora della libertà di culto con l’Editto di Milano del 313 d.C. e l’era dei martiri nell’Impero Romano sembrava terminata, anche se poi nella storia dell’umanità, molti altri cristiani hanno continuato a pagare e continuano a pagare fino ad oggi per la loro fede. L’ultimo sacerdote ucciso è stato Don Matthew Eya, venerdì scorso, nel Sud della Nigeria.

Ma proprio davanti alla raggiunta libertà, elargita dagli imperatori Costantino (per l’Occidente) e Licinio (per l’Oriente), si incominciò ad assistere tra i cristiani a un calo di fervore e il paganesimo iniziò a infiltrarsi sempre più nel vissuto delle persone. Un altro non minore contraccolpo, ai tempi del vescovo Severo, venne dalla famosissima eresia ariana che nella prima era del cristianesimo decurtava gravemente il dogma cristologico, non riconoscendo Gesù come vero Dio.È solo storia questa? O non è piuttosto la prima edizione delle tante successive che hanno visto nello scenario della storia da una parte il predominio di una logica mondana e dall’altra una fede ridimensionata a interpretazioni parziali e soprattutto comode?

Oggi il paganesimo ha un nome diverso: si definisce come secolarismo e di esso, essendone noi impastati, conosciamo purtroppo le tragiche conseguenze, alle quali guardiamo spesso con una diffusa rassegnazione.

Accanto a ciò, oggi si fa sovente ricorso a un cristianesimo fai da te, mediato più dai social che dalla Chiesa, pilotato più da sedicenti maestri che dalla parola di Dio, attratto più dai like che dalla croce di Cristo. E la conseguenza diretta di un simile clima, stavolta, non è il mondo, ma la coscienza umana che spesso annaspa nel buio e si sente persa.

Ecco, allora, a cosa ci conduce il nostro Santo Patrono: a uno sguardo critico sul mondo, alle dinamiche sociale e culturali che lo pervadono, ci sollecita a fare le scelte giuste e, davanti alle non poche urgenze, a muoversi insieme. Non è tempo di eroi solitari. Bisogna muoversi in squadra e cercare con serenità tutte le sinergie possibili, confidando che da ognuno e da ogni istituzione possa uscire qualcosa di buono.

E, non di meno, ribadiamo con forza di voler affidare le persone e le sorti di questa nostra Terra alla protezione di San Severo, sapendo però che questo non ci esonera in alcun modo dalle responsabilità quotidiane che ci competono. C’è un tratto di San Severo, come del resto, di tutti i Santi che non possiamo trascurare. Spesso è detto con un linguaggio classico, ma non per questo perde la sua efficacia. Egli, si legge, viveva una vita ascetica. E qui più che elencare tutte le maniere con cui egli credeva e amava, voglio riprendere di nuovo l’espressione evangelica che connota l’opzione di fondo del Buon Pastore e che innervava anche ogni scelta del Santo Vescovo di Napoli: “dare la vita per le pecore”.

Il nostro sforzo, di conseguenza, non dovrà essere quello di investigare sulla vita di Severo per trovare gesti eroici da ascrivere sui rotocalchi giornalistici, ma quello di cogliere il segreto evangelico soggiacente al suo stile di pastore. “Dare la vita”: questo è il bandolo della matassa di una vita ascetica. “Dare la vita” nel quotidiano significa non giocare mai al risparmio in quello che facciamo, comprendendo che ogni attimo può essere per noi un’occasione per amare. “Dare la vita” è non permettere che nelle nostre scelte ci sia un doppiofondo che dia garanzie a un “io” che fa fatica a rischiare il tutto per tutto. “Dare la vita” è accogliere e seguire il nostro Maestro e Signore che tra pochi istanti, realmente, sia pur nel mistero, dirà ancora una volta, senza stancarsi: “questo è il mio corpo dato per voi”. “Dare vita” è volere a tutti i costi la vita e il bene di qualcun altro e abborrire davanti a chi, invece, ne vuole la morte. Per questo, oggi sentiamo ancor più forte la necessità di non ricorrere a una generica preghiera per la pace, ma ad una preghiera nella quale chiedere insistentemente al Signore, per intercessione di San Severo, la conversione del nostro cuore perché sia in pace e doni pace, perché sia vivo e doni vita ad ogni fratello che incontriamo. Amen

San Severo, 25 settembre 2025

+ Giuseppe, vescovo

OMELIA DI S.E. MONS. GIUSEPPE MENGOLI IN OCCASIONE DELLA SOLENNITÀ DI SAN SEVERO VESCOVO 2025